Anna Flammini - travellingwithservas

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Quanto mi mancano, Anna, le nostre telefonate la domenica mattina, i tuoi inviti a cena nel tuo bell’alloggio di Trastevere quando ero a Roma per la mostra del libro, le tue visite all’EUR dove insistevi per pagare i miei libri che io ti avrei volentieri regalato, la tua voce sempre brillante e allegra anche quando la tua salute era diventata precaria… Facevi conto di venire ancora una volta a Torino, ma non è più stato possibile. Che tristezza.
Penso a te spesso, ai tuoi giudizi taglienti anche sui Servas dell’establishment, alle ore passate alla Casa delle donne a dare una mano, agli incontri mensili dei soci a cui abbiamo partecipato insieme…
Sei uno dei motivi per cui non ho più voglia di venire a Roma. Perché vanno bene gli incontri con i lettori, le visite a qualche mostra o a una parte della capitale ancora sconosciuta, ma poi quello che conta sono le persone con cui hai voglia di stare per parlare a tu per tu di ciò che hai fatto o che avresti voglia di fare.
Anche tu, Anna, ora sei nel mio libro dei ricordi, dove occupi un posto speciale… Ciao, donna generosa e straordinaria.

Fra le tante esperienze vissute insieme ad Anna, ne scelgo una curiosa, spero che non sembri fuori luogo... Eravamo in un supermercato al piano interrato della Stazione Termini e facevamo scorrere lo sguardo sui prodotti esposti sugli scaffali. A un certo punto, lei ha esclamato: “Ehi, guarda!” e ha preso in mano una scatola di pomodori pelati con il mio nome sopra. L’ho comprata e, una volta a casa, ho cercato su Internet delle notizie sulla casa produttrice. Ho scoperto essere un’azienda campana leader nella creazione di prodotti conservieri, in particolare di pomodori di qualità. Il sugo che ne ho ricavato era buonissimo e in occasione dei miei soggiorni successivi a Roma ho ricomprato quei pelati.
Ho anche appreso la ragione di quel nome. Era quello della mamma del fondatore dell’azienda, Pasquale Saviano. Lui è morto, novantaduenne, il 24 gennaio 2017. Anna è mancata, molto molto più giovane, quasi esattamente nove mesi dopo, lo stesso anno.

 
C’è un’altra esperienza che vorrei raccontare. Risale al 24 febbraio 2010. Erano le 17 quando è suonato il telefono. Era Anna, che, con un tono concitato, mi ha detto: “Corri subito in edicola a comprare La Repubblica, c’è una recensione del tuo Dickens!”.
Ho infilato in fretta il cappotto ed ho cominciato il giro delle rivendite di giornali. Ho iniziato da quella più periferica, nella speranza che, per il fatto di essere fuori mano, ne avesse ancora almeno una copia invenduta. Invece no.
Sono andata allora alla stazione, poi sotto i portici, dove ce n’erano ben tre. Niente.
Tuttavia, mentre passavo davanti alla libreria Volare, che ospita anche un piccolo bar-ristorante, mi è venuto in mente che forse avevano ancora la copia del giornale che era a disposizione dei clienti. La copia c’era, tutta sgualcita e stazzonata, e Marco mi ha gentilmente fotocopiato l’articolo di Dario Olivero.
Appena tornata a casa, ho telefonato ad Anna, raccontandole la mia avventura. Ne abbiamo riso insieme ed io le ho espresso la mia riconoscenza per la sua segnalazione.  
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